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Della Signora
che custodiva i colori

All'alba, prima che fosse giorno, il sole salì un sentiero del monte fino a una casa isolata, nascosta in fondo alla valle. Grigia e cadente, pareva abbandonata. Qui si fermò e lo ascoltai parlare.
"È molto tempo che non torno, lo so. Ho percorso il cielo senza sosta. Ho creato i giorni, gli anni, i secoli. Ho cercato ovunque senza mai capire veramente cosa stessi cercando. Sapevo solo di doverlo fare. Ma è stato inutile, non c'è nulla da trovare quando s’insegue un ricordo. Ogni stagione, ogni volo d'uccello o sospiro del vento, mi riportavano indietro e, nonostante il mio viaggio muovesse lontano, il mio cuore è rimasto qui. Ho bruciato tutti i sogni che mi hai narrato senza conoscerne alcuno. Ho consumato i desideri, sperperato il mio ardore. Sono vuoto, ora: sono vinto. Se ancora un sentimento, fosse anche pietà, ti lega a me, ti prego, ridammi la luce che non ho trovato in alcun luogo che ho riscaldato. Solo tu puoi, Signora dei colori."
La porta si aprì e lei apparve sulla soglia. Lunghe dita sottili a trattenere il velo, il viso bianco e occhi di miele. Avvolta in una veste nera, aveva mille anni dietro uno sguardo di bambina.
"Sì, è passato molto tempo" disse, " il tempo che tu hai inventato. Non ho dimenticato nulla, è tutto dentro di me e lo è sempre stato in tutto il tempo che è venuto. Solitario. Ho riempito la vita amando le cose intorno a me. È venuto il cielo a cullare il mio dolore e gli ho donato il blu perché fosse profondo il ricordo di me. Alla terra che ha sostenuto i miei passi ho donato il rosso, perché mostrasse la sua forza e la mia riconoscenza. Ai prati e ai boschi che hanno portato il mio sguardo lontano, il verde, perché riposassero i miei pensieri seguendo strade senza confini. Ma la mia luce l'avevo data a te."
Tutto era immobile. Non un alito di vento, non un battito d'ali. E tutto era silenzio. Né un fruscio d'erba, né un gocciolio d'acqua. Soltanto le loro voci.
"Quante volte sarei voluto tornare. Che lotta questo viaggio per una meta sconosciuta, per un luogo che forse non c'è. Una forza ignota m’impone di rincorrere i miei passi. Il cielo sa i miei pensieri di naufrago, e quante volte ho chiamato, quante volte ho chiesto di te, solo per sapere quanto lontana fossi. Per sapere quanto forte chiamare."
"Lo so" rispose lei, " e se ancora sono qui è perché il cielo narrava il tuo cammino e sapevo di te dalle foglie degli alberi, dal grano maturo o dal silenzio della neve che cadeva. Non ho rimpianti. Forse solo nostalgia. Il tuo destino è partire, io lo sapevo e scelsi il mio. Non ho più quella luce ma ti dono il giallo dei fiori, delle farfalle, dell'autunno, dell'oro. Riprendi il tuo viaggio, ora. Ti chiedo solo di illuminare anche la mia casa, di crescere questo giardino e scaldarmi se avrò freddo."
Il sole s'arrampicò per lo scosceso pendio, raggiunse la cima del monte e calò sul mondo svegliando galli e orologi.
Nel pomeriggio d'estate turbini di vento annunciarono l'arrivo del temporale. Un'imponente nuvola nera si fermò sopra la casa della Signora. I contorni gonfi e tondeggianti mutavano in continuazione. Pareva pulsare come se dentro vi battesse un cuore enorme.
"Dolce Signora dei colori, ora che finalmente ho trovato il tuo rifugio, ti prego, liberami dal dolore che mi porto nel cuore. Tu puoi rendermi la gioia, donandomi il bianco per vestirmi a festa. Basta una tua parola e ti abbraccerò di candida ovatta, ti solleverò e ti porterò con me dove la terra è più gentile e offre frutti colorati, dove l'acqua si riposa e canta limpide ninne nanne. Ti cullerò e mi sognerai, ti sveglierai sopra gli oceani e là seguiremo i venti più caldi per non ritornare più."
Il vento fischiava tra le pietre della casa e modellava l'esile figura affacciata sui gradini. Una fredda mano invisibile stringeva il suo corpo.
"Quello che mi chiedi io non te lo posso dare, non è mia facoltà. Il bianco non è un colore e in esso non potrò mai esistere. Dove io non sono, là lo potrai trovare. Dove io muoio, dov'è il vuoto, l'assenza, il nulla per me. Tu ti porti dentro tutti i colori di ciò che hanno visto i tuoi occhi d'acqua, da quando nascesti sui monti, crescesti nelle valli e nelle pianure, fino al mare, dove diventasti quello che sei ora. Tu soffri perché non sai conciliare le spine con il loro fiore, il gelo e il solleone, le stelle e il buio. Solo quando avrai reso alla terra quello che lei ti ha dato, avrai ciò che desideri. Allora vagherai nel cielo, bianca, come un enorme fiocco di neve..."
"...e forse non lo saprai" aggiunse col pensiero.
La nuvola si scosse, un lampo di verità l'aveva trafitta, un boato di emozioni echeggiò in lei. E pianse. Pianse sulla Signora e sulla sua casa, sugli alberi e sui prati. Inzuppò la terra, la donna, il suo abito e i suoi occhi. E se ne andò singhiozzando per il cielo blu.
Allora il sole si levò dietro l'ultima cresta del monte e invase la valle. Scintillante di luce come se contemplasse un mondo nuovo, lento come se volesse accarezzare ogni cosa e ogni attimo, caldo come se sguardo e carezze avessero voce, venne con la sua promessa nel cuore.
"Lascia che il mio bacio si posi sul tuo corpo, casto come i pensieri che ti regalo. Lascia che il mio calore entri per raccontarti il mio cuore e sciogliere la tua solitudine. Perché ora so che in te si compie la mia vita, perché tu gettasti l'unico seme che in me ha potuto attecchire e crescere nel mondo. È per te che vivo, per te scaldo i mari e la terra, per te la illumino, perché i tuoi doni possano avere vita, perché possano essere blu il mare e il cielo, e verdi le valli, perché possano essere rosso il tramonto e gialla l'alba, perché ogni cosa possa mostrare un pezzo del tuo cuore, perché tutte insieme rivelino il tuo amore."
La Signora stava in piedi, fradicia e nobilmente immobile, come una statua, con il viso rivolto al sole che penetrava il suo corpo. Allora da lei una scia colorata si proiettò verso il cielo e dopo aver corso sopra tutta la valle andò a cadere sull'opposto versante della montagna. Era un arco di sette colori. La Signora lo guardava con occhi immensi.
"Sei il figlio delle nostre vite, nato dalla gioia dei nostri cuori e dalla sofferenza del mondo. In te vivranno per sempre: il dolore delle risposte che non avrai mai ma anche la felicità della nostra unione. Sarai bello come io ti vedo, dolce e forte come la mano di tuo padre. E andrai di valle in valle dove la vita piange a raccontare l'amore che tu sei. Pochi ti vedranno, e ancora in meno ti capiranno, ma sarà il dono più grande che avrai da offrire. Allora sarai amato e amerai. Allora, non perderne un respiro. Perché non saprai cosa è scritto nel cielo che solcherai, non saprai quando si abbasseranno gli occhi che ti portano."
Anche il sole non sapeva staccare lo sguardo da quel prodigio. Gli pareva che una parte di sé fosse migrata, afferrando un testimone nel profondo della sua anima, per correre nello splendore del mondo. E ciò che sentiva crescere ora non era un sentimento di privazione, tutt'altro, era di nuova ricchezza.
"Nessun dono può essere immenso come questo. Ecco il mio dolore, i miei giorni mancati, avere un senso. Ecco il mio tempo perduto, ritornare e rivelarsi come la strada per uscire dal labirinto. Ecco il mio amore diventare vivo. Diventare altro amore. La mia vita, altra vita.
Figlio dei miei sogni e del mio sudore, correrai il mondo come me per cercare un approdo, e se io non l'avrò trovato, forse lo farai tu. Tu sei una promessa alla vita e non annullarti come ho fatto io nell’illusione di non tradirla. Non peccare d'orgoglio, ascolta il cuore dell'universo, o sentirai solamente il silenzio della solitudine. E se non troverai ciò che avrai cercato, non importa. So che l'inseguirai, soffrirai ma ci crederai, sarai vivo. È questo che toglie il dolore dal mio cuore: sapere che tu vivrai."
Il sole e la Signora incontrarono i loro occhi stracolmi. Non parlarono. Non serviva. Era tutto così perfetto. Restarono a guardarsi. Ascoltavano le maree dei loro cuori invaderli e quella della sera che si avvicinava. Non venne il pensiero del futuro a turbarli. Non importava che strada avrebbe preso, non importava ciò che nessuno avrebbe potuto dire. Il resto sarà scritto solo domani. L'arcobaleno si stagliava nel cielo.
Quando il sole scomparve in fondo al buio della notte, la luna venne e si fermò alla finestra della casa.
"Non ti odio per quello che accade, il mio è solo rimpianto per ciò che ho conosciuto e desiderato di non perdere più. Non ti invidio, ogni felicità è sempre conforto per tutto il creato. È solo amarezza la mia. Lui è tuo e io non potrò mai averlo come l'hai avuto tu. M’inseguiva per il mondo e a volte ci incontravamo. Io ero sempre diversa ma sempre lo stesso desiderio. Così guardavamo negli occhi il cielo, ci scoprivamo una stella e poi lui partiva per cercare di afferrarla. Ora so che quella stella l'hai accesa tu. Sai, forse un giorno ti tradirà, come ha tradito me ogni volta. Non volermene se aspetterò che torni. Non parlare, non c'è nulla che devi dire. Io resterò qui per vegliarti fino al mattino e al tuo risveglio sarò già andata via."
La notte si acquattò fra le pieghe della terra. Pulsò di un sonno ritmico e silenzioso che penetrava tutte le cose, rigenerandone la più profonda essenza. Poi si fermò. Per un attimo breve. Un attimo in cui la Signora si sta per svegliare, il sole sta per nascere e la luna è appena andata via. Un attimo che è il respiro dell'universo.

Aprile 1933
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