favole stropicciate banner bn

Favole stropicciate

di Camillo Giacomini - Raccolte da Danilo Trivelli

Ritornando con il pensiero al momento in cui aprii il modesto scrigno, posso ancora sentire l’odore della carta umida mescolato a quello del legno. La folata mi raggiunse evocando vaghe sensazioni di desolazione. Sentore di povertà a dissimulare la rilevanza del contenuto.
Fu un momento pervaso di curiosità quasi distratta che presto avrebbe violentemente rapito tutta la mia attenzione. Un gesto semplice e banale le cui inimmaginabili conseguenze avrebbero modificato all’istante la cognizione della mia vita. Questa però è un’altra storia, che troverà la forma e il tempo giusto per essere narrata. Ora il mio desiderio è di porre un tassello mancante, il primo e più precoce, per completare l’opera dello scrittore che fu mio padre.
Tra gli oggetti che trovai nel cofanetto, uno dei quaderni dalla nera copertina era evidentemente più consunto degli altri; dilavato, come se fosse stato incautamente perso ed esposto alle intemperie. La grande e ordinata grafia era nonostante tutto ancora leggibile, così che potei in seguito trascrivere il contenuto. A volte le sgualciture del foglio avevano assorbito l’inchiostro colato per l’umidità protratta ma, per buona sorte, senza arrivare a cancellare il corretto significato di ogni segno originale. Parevano rigagnoli che raccoglievano l’essenza delle parole.
Favole. I pochi caratteri in curato corsivo stavano scritti, un po’ in alto, in mezzo al frontespizio. Punto. Credo che quest’ultimo egli abbia voluto apporlo di proposito e che non fosse, come a prima vista poteva sembrare, una goccia caduta dal pennino troppo carico. Ravvisavo una volontà precisa in quel gesto, una sottolineatura che aveva portato la mano a fermarsi sul foglio. In futuro avrebbe scritto altro, per stile e forma, e sono convinto che quel punto sia stato fissato in un tempo posteriore rispetto al vocabolo che lo precede. Cosa volesse chiudere lo intesi per congettura.
Capii invece per certo perché fossi l’unico a conoscere la storia di un fiore particolare e perché nessun genitore l’avesse mai raccontata ad alcuno dei miei compagni. Fu la prima che lessi su quelle pagine. Le altre che seguivano mi erano ignote. Non erano destinate all’attenzione di un bambino. Avrei sicuramente già allora amato i personaggi e immaginato per loro le più fantastiche raffigurazioni; non ne avrei però compreso le azioni e gli accadimenti. Ora che sono esperienza anche del mio vissuto, riconosco quanto dell’uomo che li ha descritti sopravviva in me. Una volta di più capisco come l’opportunità di fare un passo di consapevolezza sia la più grande eredità che ci possa essere lasciata.
Mi sono interrogato a lungo sull’opportunità di rendere pubblica questa produzione giovanile, chiedendomi se piuttosto fosse meglio lasciarla nell’oblio in cui l’autore l’aveva relegata, allo stesso modo di tutto quello che di palese o implicito il buio dello scrigno custodiva.
Inoltre i puristi della creazione letteraria si scandalizzeranno nel vedere il suo nome associato a immagini archetipe, simbolismi e slanci metafisici. Eppure sotto la superficie delle ingenue costruzioni narrative si muove la corrente che l’avrebbe trasportato per sempre, s’intravede il faro del suo prossimo viaggio creativo. Non è questo tuttavia che ha determinato la mia decisione. Non è questione di letteratura. È altro e di più.
Quell’uomo ha avuto a disposizione il corso di una vita intera per distruggere ciò che mi ha trasmesso, ma non l’ha fatto. Decise infine che il segreto fosse svelato e pezzi di esistenze infrante potessero ricomporsi nel disegno che il destino compassionevole teneva in serbo.
Scelse la verità. E non fu codardia a fargli portare fino all’ultimo il peso della sua sorte, fu il suo modo di espiare una colpa che si addossò senza giusta ragione. Da sempre una parte di lui anelava di andarsene libero dal dolore, lasciandone qui un’altra, mondata, che fosse solo amore.
Di essa fanno parte anche questi componimenti, espressione della sua originaria mitologia personale; ne svelano il prematuro slancio di sofferta ricerca interiore e l’affiorare alla coscienza di un vuoto da colmare, fondamenta su cui prodigiosamente avrebbe posato il solido edificio della sua vita.
Perdonate se il coinvolgimento emotivo mi porta a celebrare più l’autore che le opere presentate, del resto su queste sarete voi stessi a poter trarre tra breve le vostre conclusioni. Una sola esortazione: vivetele col cuore, così come sono state create. È indispensabile per afferrarne l’essenza.
Ecco le favole del quaderno nero, stropicciato e logoro, nello stesso ordine in cui là mio padre le ha vergate, in quell’anno in cui partì da casa ragazzo e troppo presto si sarebbe trovato a dover essere uomo.
F.G.

Camillo Giacomini (Orta San Giulio, 20 dicembre 1913 – Novara, 12 settembre 1985).
Insegnante e scrittore.
×

Log in