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Dell'uomo di ghiaccio

Accadde nel gelo di una notte di quel lungo inverno. Lasciò oltre la porta il clamore della serata in compagnia, qualche risata e forse – pensò – troppo vino. Con allegra sorpresa accolse i radi fiocchi di neve che svolazzavano nella luce del lampione e s’incamminò, alzando il collo della giacca per meglio ripararsi.
"È troppo freddo ora ma se cessa questo vento nevicherà e domani tutto sarà più bello."
Per giungere a casa doveva percorrere a piedi la strada sterrata che fiancheggiava il bosco, separandolo dalla pianura di campi e pascoli. Si era fatto tardi. Fra poco sarebbe entrato nel suo letto per abbandonarsi – già lo pregustava – a un profondo sonno ristoratore. Il silenzio lo circondava. Udiva solo i propri passi, amplificati dall'ebbrezza, rimbombare sul terreno e l'aria tagliente stridere tra i rami nudi.
Inoltratosi nel buio pesto, un'inattesa sensazione lo colse e si trasformò in pensiero. Immaginò di attraversare una galleria sospesa nella notte di cui non poteva riconoscere l'inizio e la fine. Una volta dall'altra parte, semplicemente sarebbe stato altrove, ignaro di esserci passato. Non sapeva esattamente dove collocarla; fra due epoche diverse, oppure fra due stati d'animo. Fantasticò che potesse esistere un passaggio segreto per la felicità o almeno per un'isola dei mari equatoriali. Non è che fosse triste, nonostante la monotonia dei suoi giorni semplici, però a volte queste idee nascevano nella sua fantasia. Non dava loro molta importanza e se ne compiaceva con condiscendenza verso se stesso. Era così che accettava i fatti della propria vita. Si rammentò dei bicchieri con cui aveva brindato e ne sorrise.
Una sferzata di freddo pungente lo riportò al presente. Vide un chiarore in lontananza e questo lo rianimò, facendogli affrettare l'andatura. La casa era ormai vicina. Stranamente la lampada sull'uscio non irradiava il consueto alone giallastro, era insolitamente bianca. Non poteva essersi perso, la strada non aveva deviazioni. Avanzando ancora distinse una figura immobile al centro della via. Rallentò e infine le fu di fronte.
Nonostante il buio la vedeva nitidamente. Era una donna vestita di bianco, con un abito sfarzoso, come quelli per le feste da ballo, di tanti pizzi e trine cesellate. Anche il viso e le mani erano luminosi, dello stesso candore del vestito. Non era più giovane ma i lineamenti erano sottili ed eleganti, che chiunque avrebbe detto di quanto fosse bella. Lui certo non rimase insensibile alla visione. Trascinato da un impulso incontrollabile, le prese una mano. Era gelida come quella notte. Rapito, non seppe staccarsi. I suoi occhi, di un azzurro pallidissimo, lo attirarono irresistibilmente e posò le sue labbra su quelle di lei. Gli parve di scottarsi per quanto erano ghiacciate. Poi la donna si scostò, fissandolo e accennando un sorriso.
"Non temere, avrai molte notti per amarmi. Ti ho scelto perché tu mi sia compagno in questo tempo troppo solitario. Ora diverrai mio e non mi potrai più lasciare."
Sentì un'ondata di gelo scendergli nelle viscere ed esplodere in tutto il corpo. Risaliva alla superficie e giungeva alla pelle. I vestiti gli caddero di dosso lacerati. La carne si seccò, si spaccò e nuovi muscoli lucenti presero il suo posto. Era diventato di ghiaccio.
"Ora la notte non ha più segreti per te e anche l'amore presto ti rivelerà i suoi. Seguimi, ora puoi amarmi. E potrai amare solo me. Perché a qualunque altra donna che tu volessi, non resterebbe di te che una pozza d'acqua fresca."
Terrorizzato corse via nel bosco, in cui ora poteva vedere chiaramente ogni cosa. Si nascose in una grotta e questa divenne il suo rifugio nei lunghi giorni che seguirono. Non poteva uscire al caldo del sole. Solo al suo calare vagava fra gli alberi e le praterie avvicinandosi alle case e agli uomini di cui sentiva nostalgia.
Una notte fu incuriosito dalla finestra illuminata di una casa, vicina alla sua, che aveva sempre saputo disabitata. Si accostò per spiare all'interno. Vide una ragazza seduta di spalle, assorta nella lettura di un piccolo libro. I lunghi capelli ondulati si spandevano sulla pesante vestaglia. Entrò una donna più anziana. Con un largo sorriso le si sedette di fronte. Teneva tra le mani un flacone e un cucchiaio. Parlava. La giovane gettò il libro con stizza. Il volto dell'altra donna si fece scuro e minaccioso. Muoveva la bocca molto velocemente. La ragazza le strappò di mano la bottiglietta e ingurgitò un sorso del contenuto. Poi s'infilò sotto le coperte del letto, in penombra in fondo alla stanza. Il lume si spense e la donna uscì.
Egli ritornò la sera seguente e la trovò nella stessa posizione. Col naso a sfiorare il vetro guardava i riflessi sui capelli di lei, pregando che si voltasse. Un colpo di vento spalancò le ante della finestra, forse mal chiusa, e la ragazza sobbalzò precipitandosi a richiuderla. Lui si scostò appena in tempo ma la vide. Aveva un viso malinconico, di linee magre e occhi grandi e verdi che gli suscitarono una grande dolcezza. I vetri risuonarono per il colpo ricevuto e pochi fiocchi di neve caddero all’interno, sciogliendosi sul pavimento.
La voce non diede preavviso, come la dama bianca che comparve dal nulla.
"Non potrai mai averla. Lei è fatta di carne e ossa. Di sangue caldo che scorre nel suo corpo palpitante. Sarà inutile continuare a torturarti. Io sono la tua sola salvezza, perché noi siamo uguali. Raggiungimi stanotte e subito l'avrai dimenticata."
Rimase lì accovacciato, addossato al muro della casa. Sentì una voce delicata invadergli la mente ed erano i pensieri di lei. La ragazza vegliava nel suo letto. Non poteva dormire. Le sue giornate pigre faticavano a condurla al sonno. Pensava all'indomani, a cosa ne avrebbe fatto di tutte quelle ore. La proibizione di allontanarsi non le lasciava che la lettura e pochi altri svaghi. Eppure lei era guarita e avrebbe voluto passeggiare nel bosco, incontrare gente con cui parlare, magari ridere. Le era perfino parso di vedere un viso di giovane nell'oscurità, dietro ai vetri, tanto era il bisogno di sfuggire alla solitudine. Le visite all’unico vicino, malato e silenzioso, non bastavano a riempire il suo tempo. Era un nuovo desiderio, un sentimento più grande, che la pervadeva ora. Come il presagio di un cambiamento. Poi finalmente un'ala le si posò sugli occhi e il sonno se la portò via.
Al mattino un'intensa luce entrava nella stanza. Lei andò alla finestra. La giornata era limpida. Il sole coi suoi raggi radenti fendeva la pianura e, attraversando i vetri, disegnava una scacchiera sulla parete opposta. Uno solo dei riquadri rivelava un'ombra e lei riconobbe sul vetro i tratti di un viso. Subito il calore li sciolse in tante goccioline.
Egli trascorse ogni notte a quella finestra e il disegno del volto si fece di volta in volta più preciso. Ora lei poteva vederne la bellezza e ogni mattina si precipitava a cercare nuovi particolari nel taglio degli occhi, le linee delle labbra, il contorno del mento. Sapeva di dover giungere presto perché immancabilmente il ritratto evaporava piangendo nella luce del giorno. Forse fu per questo che se ne innamorò.
Una sera decise di scoprire come si creasse quel prodigio e si trattenne nella penombra a scrutare da dietro la trama della tenda. E così, sconvolta da un potente fremito, vide quel viso, luminoso come giacesse in un riflesso d'acqua. Sconcertata uscì dal nascondiglio per osservarlo meglio ma lui, sentendosi scoperto, non trovò altro da fare che fuggire tra i cespugli. La vide uscire sulla porta, scendere le scale e avanzare nel piccolo viale.
"Aspetta! Non avere paura. Perché ti nascondi? Chi sei?"
Lui sgattaiolò nel bosco ma forse fu visto perché lei corse proprio in quella direzione. Indossava solo la vestaglia, incurante del freddo che fischiava impazzito. Un vortice d'aria ruotò iroso seminando una scia di bianchi cristalli di neve e la investì, gettandola a terra sul tappeto di foglie secche. Di tronco in tronco sfilava la dama bianca cavalcando la sua giostra su un destriero invisibile che ruggiva di rabbia.
La ragazza rimase immobile sul terreno. Lui avrebbe voluto soccorrerla ma non la poteva toccare. In ginocchio, abbassò il capo quasi a sfiorarle la bocca. Respirava. Radunò tutte le foglie che poté e fermandole con alcuni rami incrociati, ricoprì il corpo ancora caldo.
"Non temere" diceva, "sono solo bianche farfalle che volano a milioni e si posano sulla terra come una morbida coperta per custodirne la memoria, perché possa ritornare a esplodere di vita."
Per la prima volta nevicava in quel freddo e ormai tardo inverno. In molti accolsero con gioia l'evento. I contadini per la loro terra, i poeti per il loro cuore e i bambini per giocarci. Cadeva copiosa levando gli spigoli dal mondo. Cadeva sui tetti spioventi, sugli alberi spogliati, sui prati induriti, giù fino alle case e ai selciati della città, srotolando il suo manto d'indulgenza. Cadeva ovunque sotto il cielo tranne che su una parte del cumulo che lui vegliava, con il suo corpo a proteggere il respiro sotto le foglie. Attese finché i fiocchi cessarono. Montava l'alba e così raggiunse il suo rifugio.
Dopo i rimproveri e i tentativi inutili di scoprire perché mai fosse uscita là fuori con quel tempo, le dissero di averla trovata distesa sotto un mucchio di foglie, accuratamente raccolte come se qualcuno avesse voluto costruirle un giaciglio. Sorrise e loro credettero per lo scampato pericolo. Qualcuno le accomodò le coperte, l'accarezzò sulla fronte. Poi la lasciarono sola perché riposasse. E può essere che sognò.
Si vestì e badando di non essere vista uscì per cercare il luogo dove l'avevano rinvenuta. Lo riconobbe dalle foglie sparse sulla neve e dalle molte impronte attorno. Nella concitazione del ritrovamento non si erano accorti delle tracce che si dirigevano verso il bosco. Erano proprio quelle che lei cercava. Le seguì, sprofondando fino alle ginocchia e scansando i rami appesantiti e ricurvi, finché la condussero all'ingresso della grotta. Sentì accelerare i battiti del cuore, già veloci nel suo ansimare per lo sforzo compiuto.
Entrò circospetta. Un'apertura in alto illuminava la cavità. Su una roccia piatta lui giaceva supino. Sembrava una statua di cristallo che ornava un nero sarcofago. Come se le crepe nella pietra avessero assorbito il sangue, la carne di quel corpo e con essi la sua energia. Come una vita che la terra si era ripresa e non avrebbe restituito, se non chissà dove e quando e in che forma.
Lei vedeva i suoi movimenti riflettersi nella figura vitrea, il suo viso specchiarsi nel volto che aveva atteso nell'oscurità. Lo baciò sulla tempia e un brivido gelato la percorse. Egli si destò e lei trasalì vedendolo muoversi e levarsi, a sua volta sbigottito.
"Temevo che tu potessi scoprirmi. O forse era ciò che più desideravo? Ora mi vedi nella mia misera realtà e so che raccapricci per questo ma non ti biasimo. È quello che merito per la mia debolezza e la mia sconsideratezza. Incontrarti è stata la mia consolazione. Desiderarti, la mia angoscia. Mi sarebbe bastato vederti vivere ma la mia condizione mi ha tradito. Si è rivelata appena ho avvicinato il mondo. Quanto ho pregato allora di risvegliarmi da un sogno e riascoltare il mio cuore pulsare. Purtroppo non basta l'amore che sento per te a ridarmi la mia vita. Me l'hanno rubata forze così grandi che un uomo da solo non le può combattere e ora è prigioniera della dama bianca. Un gelo che non so vincere e al quale nemmeno so arrendermi, l'unico tempo in cui posso continuare a esistere. E morire, perché la primavera si avvicina."
"Guardarti mi provoca turbamento ma non per il motivo che tu credi. Sul tuo viso è ancora scritto ciò che tu sei. Quello che hai cercato e non hai trovato. Io capisco il tuo dolore. Se mi sgomento è per le parole con cui ti compiangi. Sono queste che mi gelano. Sì, tu vivi in un sogno. Ed è un sogno nel quale ti sei segregato di tua volontà. Il gelo ti ha penetrato perché tu glielo hai permesso. Tu hai dato alla dama bianca un potere che lei non aveva perché portasse anche le tue colpe. La vita ha ancora valore per te, lo hai dimostrato questa notte e te ne sono infinitamente grata. Adesso però ne hai un'altra da salvare, la tua. L'amore che provi per me è sterile senza quello per te stesso e soltanto questo può essere più forte del ghiaccio che ti imprigiona. Tu puoi vincerlo e avermi se veramente lo vorrai."
Passarono i giorni e l’uomo non lasciò più la grotta. Una grande inquietudine sconvolgeva i suoi pensieri. Il passato gli affollava la mente di emozioni dimenticate che ritornavano spietatamente nitide e dolorose a mostrargli i propri errori. Come gli era ignota la sua storia!
"Quanto tempo ho sprecato, ho vissuto cieco, sordo e muto. La vita è scivolata su di me e non ne ho afferrato che l'enorme quesito. Domande su domande hanno sedimentato e ora il fardello è così grande che forse è tardi per cominciare a dare le risposte."
Sfinito dal tormento che lo perseguitava, infine si addormentò. Fece anche sogni che non ricordò. O non volle. Come non seppe dire quanto a lungo aveva dormito prima di destarsi. Era l'alba e uscì incontro al giorno. Attraversò il bosco e scese il declivio di campi immacolati. La dama bianca apparve fra le alte colonne degli alberi. Scivolando sul pavimento di quella bianca cattedrale lo seguì all'aperto.
"Questa è la strada che ti condurrà alla morte. Il sole sta per nascere e ti cancellerà dalla terra."
"Io sono già morto, quando ho smesso di guardare la luce che ora dovrebbe uccidermi."
"Fermati! Puoi ancora raggiungere gli alberi e salvarti. Non morire, ti prego!"
"Non è la mia vita che ti preoccupa, è la tua. La vita che io ti ho dato rinunciando a vivere la mia. Solo ora questo mi è chiaro e so che tu non esisti."
Un bagliore esplose nel cielo e dentro di lui. Un boato, doloroso come un urlo, straziante come ogni incontro tra la vita e la morte, dove ogni volta una sola può vincere.

Rinvenne. Era nel proprio letto. Sopra di se mise a fuoco due grandi occhi verdi che sprizzavano gioia, specchiando il suo viso in un lago di dolcezza.
"Non ti preoccupare, va tutto bene ora. Ancora non sai nulla di me. Sono io che ti ho trovato quasi congelato in mezzo alla neve. Arrivai proprio quella mattina con i miei genitori nella nostra nuova casa, qui vicino, al limite del bosco. Dicono che per recuperare appieno la mia salute devo vivere in campagna.
Ti avevamo creduto morto ma poi il dottore disse che ce l'avresti fatta, che eri troppo forte per andartene così e io mi sono offerta di accudirti. Sono diversi giorni che dormi, ma tu non puoi ricordare. Ho trascorso molto tempo con te e mi sembra di conoscerti da sempre. È una giornata stupenda anche oggi. Sono stata fortunata, è dal mio arrivo che il tempo si è messo al bello. La temperatura si è alzata. La primavera avanza con prepotenza quest'anno."
A fatica si alzò e camminò fino alla finestra. Poche chiazze di neve punteggiavano i prati. La roggia si era ingrossata e luccicava, come la moltitudine di rigagnoli che colavano in essa. Sul terreno appiattito dall’inverno spuntavano i crochi e i rami del salice già erano ricoperti di gemme vellutate.
"Mi hai salvato la vita, lo sai?"
Lei, alle sue spalle, ne fissava il delicato riflesso del viso sul vetro opaco e l'anima le sorrise.
"È stato un caso, poteva succedere a chiunque altro."
Lui guardava oltre i vetri nella luce abbagliante.
"Tu credi nel caso?"
I passeri saltellando allegramente beccavano nell'erba gialla, poi volavano in gruppo nell'aria, disordinatamente felici, per posarsi un po' più in là.

Febbraio – Marzo 1933
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